sabato 12 febbraio 2011

RELAZIONE: ascolto e silenzio

Un essere in relazione

L’uomo è creato per la relazione. Egli è un essere comunque in relazione: con se stesso, con la realtà che lo circonda, con gli altri, con l’Altro. Per essere felice, deve imparare a vivere in modo costruttivo e positivo questa sua insita e costitutiva relazionalità, dono del Creatore alla sua creatura "fatta a sua immagine e somiglianza".
Silenzio e parola sono strumenti / mezzi che, in ultima analisi, sono finalizzati a questo scopo, a quella che è la grande vocazione dell’uomo: il dono di sé. Silenzio e parola: due strumenti che vanno conosciuti e usati
Per poter essere usato adeguatamente, ogni strumento deve chiaramente essere scoperto, conosciuto in tutte le sue potenzialità; a ciascuno, poi, compete la responsabilità personale di decidere come usarne. Silenzio e parola sono potenti mezzi di comunicazione; la parola è per la relazione, ma anche il silenzio è a servizio della relazione. Essi devono interagire con saggezza ed equilibrio. La "medaglia" della relazione-dono di sé ha due "facce": il silenzio e la parola.

Il silenzio e la parola: due realtà contrapposte?

Questi due vocaboli e realtà dell’uomo possono sembrare antitetici e, in effetti, è apparentemente così, perché chi fa silenzio non parla e, chi parla, non tace. Fondamentalmente, però, sia il silenzio che la parola sottintendono una realtà più profonda e misteriosa – quella ontologica dell’uomo - né possono definirsi incompatibili, ma l’uno illumina e dà senso all’altra. Dal punto di vista di un atteggiamento interiore, profondo, essi sono - allora - complementari.

Silenzio e vita – parola e desiderio

Mentre è più facile pensare al concetto di parola e affiancarla, con naturalezza, all’idea di relazione, rimane più difficile concepire il silenzio come uno strumento che conduca o faciliti un rapporto interpersonale.
La domanda è: può il silenzio creare, stabilire, un rapporto, una relazione? Se, come molti sperimentano, talvolta anche una sola parola può addirittura mettere fine ad un rapporto d’amore, d’amicizia, familiare, ecc… dobbiamo pensare che anche il silenzio possa servire a creare e mantenere un vero rapporto interpersonale. D’altronde, come forse tutti ne abbiamo l’esperienza, davanti a grandi drammi o a sofferenze inspiegabili e atroci (come una malattia terminale o una morte improvvisa), si preferisce non parlare o parlare tacendo. Il silenzio, in questo caso, diviene presenza espressiva e affettuosa.
Esiste, dunque, un silenzio che chiameremo "loquace" e una parola "silente". Cioè un silenzio che parla, capace di dire qualcosa e una parola muta, che non dice nulla a chi ascolta. Un testo di psicologia afferma che "noi siamo quello che diciamo", ma parimenti siamo anche "quello che viviamo", che "facciamo", senza bisogno di tante parole.
Dire o fare? Si può dire e fare, ma si può anche fare senza dire nulla, è possibile "costruire" in silenzio e "demolire" parlando. E’ la nostra vita che deve parlare a noi stessi e agli altri. Talvolta il nostro silenzio si rivela costruttivo, fattivo e loquace più di mille parole.
A volte ci sono silenzi che sono parole e parole che sono silenzio. Capita, a volte, di dire tante parole, ma non ciò che dobbiamo dire e, quindi, si parla, ma è come se si tacesse. Ci sono, invece, silenzi carichi di parole.
Un silenzio può essere una risposta – naturalmente da interpretare – ma pur sempre espressione di qualcosa che si vuole dire, comunicare all’altro. Tacendo, a volte, si evita di dire ciò che è meglio omettere e quindi, in realtà, si comunica, seppur con una "assenza" di parole.

Cosa insegna a riguardo la psicologia

"Saper frenare la lingua" (Salmo 39, 2), "Porre una custodia alla proprio bocca" (Salmo 141, 3), preserva da tanta faciloneria, dalla superficialità, dall’avventatezza e dall’imprudenza. Dovremmo educarci a frapporre – come anche la psicologia insegna – un "intervallo" tra stimolo e risposta, tra azione e reazione, affinché la nostra parola – sia verbale che interiore – non scaturisca da impulsività o automatismi dell’inconscio, ma sia frutto di una scelta libera e consapevole. Per parlare con libertà e coscienza, bisogna sapersi educare al silenzio, inteso come una predisposizione all’ascolto profondo di se stessi e dell’altro.

Il silenzio

Il silenzio può dunque essere lo spazio che prepara la parola. Interpretato come fine a se stesso, non avrebbe senso; o, meglio, agirebbe nella nostra vita con una valenza negativa di chiusura, fuga, ripiegamento su se stessi, visto che abbiamo affermato che l’uomo è un essere in relazione e la parola è un mezzo di relazione.
Il silenzio, ancor prima di essere possibilità di riflessione (quindi vi è un silenzio prima e un silenzio dopo la parola), deve essere spazio per l’ascolto, capacità di accoglienza, recettività senza pregiudizi, disponibilità libera dalla presunzione di sé. Il silenzio, così inteso, può paragonarsi a quel terreno buono di cui leggiamo nel Vangelo (Luca 8, 8) capace di ricevere il seme della parola: della Parola di Dio e della parola (a volte un po’ inquinata) dei propri simili.
Il silenzio, ancora, educa e rafforza nella vigilanza, che è attenzione al vissuto fin nei dettagli, capaci di rivelare - ad uno sguardo penetrante - la novità che si nasconde persino nella monotonia, nel quotidiano banalizzato ma mai banale e che sfugge ai più. Per il cristiano questo atteggiamento ha un nome: è l’atteggiamento contemplativo. L’uomo è reso capace di vedere l’invisibile (Ebrei 11, 27).
In una bellissima preghiera, Etty Hillesum scrive: "Tutto avviene secondo un ritmo più profondo … che si dovrebbe insegnare ad ascoltare: è la cosa più importante che si può imparare in questa vita. Il silenzio può così essere strada che conduce alla profondità. Ecco perché le grandi donne e i grandi uomini dello spirito hanno amato e vissuto il silenzio" (Diario di Etty Hillesum, Adepti Edizioni, Milano 1985).

Vari tipi di silenzio (positivo e negativo)

Abbiamo visto come l’atteggiamento di silenzio sia capace di costruire una relazione; anzi, ne ponga decisamente le fondamenta, tanto quanto la parola espressa, intesa come manifestazione esterna di se stessi all’altro. Si vengono così a delineare vari tipi di silenzio, che possono avere una valenza più o meno negativa, tanti quanti sono i modi personali di interpretazione a cui va soggetto il termine medesimo.
- Il silenzio di ascolto è quello che ci permette di ascoltare l’altro fino in fondo, per capire cosa vuole dire e accogliere il messaggio che ci sta trasmettendo. Permette all’altro di esprimere completamente se stesso e il suo pensiero, quando non viene interrotto nel suo parlare.
- Il silenzio reciproco è quello di chi si comprende senza bisogno di troppe parole e avviene quando c’è una conoscenza e comunione profonda fra le due persone che comunicano.
- Il silenzio di carità è quello che volutamente tace tutto ciò che può nuocere all’altra persona, che non mette in evidenza il male, non mormora.
- Il silenzio di indifferenza è quello in cui non si vuole comunicare all’altro, non interessa ciò che l’altro ci dice.
- C’è un silenzio offeso e risentito, proprio di chi non è in pace con se stesso e con gli altri e si isola.
- C’è un tipo di silenzio che è peccato, perché si omette ciò che si dovrebbe dire, oppure che può esprimere indifferenza e lontananza da Dio: il silenzio di chi non prega e non comunica con il Creatore.
- C’è il silenzio del perdono, che si instaura quando si evita di sottolineare, rinfacciare, ripetere continuamente gli sbagli e i difetti altrui.

Il silenzio: dono o penitenza?

Il silenzio può essere un dono o una sorta di penitenza, concepito quasi come un’ammenda o come una limitazione, dipende da come lo si concepisce, lo si vive, dal contesto in cui si è chiamati a incarnarlo.
E’ un dono quando diventa lo spazio per incontrare Dio, per comunicare con Lui e, in Lui, con gli altri. E’ più facile "incontrare" il Signore in questo contesto silente che in mezzo a tanti rumori. Dio ci parla attraverso il suo silenzio. La contemplazione è l’incontro di due silenzi: quello di Dio e quello dell’uomo. Chi impara a pregare veramente, impara ad ascoltare il Verbo silenzioso e incontra il Silenzio che interpella, impara ad ascoltare e sa veramente relazionarsi anche con gli altri uomini.
A volte, però, il silenzio può essere una penitenza. Ci sono momenti in cui è difficile non parlare, perché ciò diventa un bisogno. E’ difficile tacere quando non si è compresi, quando si è stati offesi, quando l’altro vuole avere sempre ragione e vuole sempre l’ultima parola sulle decisioni, quando vediamo comportamenti sbagliati negli altri, quando abbiamo una sofferenza, quando capiamo che l’altro ci giudica male.
Quando si riesce a vincere il bisogno di parlare e si sa tacere, il silenzio diventa "penitenza" che ci insegna a dominare le nostre passioni e che, anche con dolore, ci apre la via ad una forma di ascesi che conduce ad una vera maturità umana e cristiana. Si sperimenta, allora, una grande pace e si riesce a dominare anche i propri pensieri rettificandoli e trasformandoli in positivi, ritrovando l’equilibrio interiore.

Importanza e rischi del silenzio

Il silenzio, allora, diventa predisposizione all’ascolto, all’accoglienza e alla comunicazione con gli altri e con l’Altro. Ci aiuta ad evitare il male che facilmente si potrebbe commettere parlando; ma nasconde anche dei rischi. Un silenzio può essere una contro-testimonianza. Infatti, ci sono cose che vanno dette al momento opportuno e anche non opportuno.
Altro pericolo è quello dell’isolamento. Chi tace, non si confronta con gli altri, rimane con le proprie idee e con il proprio modo di essere, non si apre all’alterità. Chi tace, non dona se stesso e, quindi, si impoverisce.

Il silenzio del Signore

Innumerevoli sono gli esempi del silenzio nella Persona di Gesù e del suo riferimento al silenzio. Gesù ha fatto silenzio pur parlando e ha parlato pur facendo silenzio. Gesù "tace" quando manifesta al Padre il suo perdono per gli uomini. Negli anni della sua formazione umana e spirituale a Nazareth non predicava ancora come fece in seguito, ma anche dopo il suo annuncio pubblico fu con il silenzio della sua stessa vita (Luca 2, 51) che si fece conoscere.
Gesù sceglie spesso luoghi solitari in cui andare a pregare (Luca 5, 16). Gesù insegna a far tacere i sentimenti negativi amando i propri nemici (Luca 6, 27). Ascoltando Gesù che parla, folle intere tacciono, non parlano, ma ascoltano (Luca 10, 39). Alla domanda che gli porrà Pilato, Gesù non risponderà nulla (Luca 23, 9) o, in altri frangenti, risponde senza dire ciò che gli altri avrebbero voluto sapere e sentire dire da Lui. Gesù tace con la sua morte (Luca 23, 46) per tornare a parlare dopo la Resurrezione. Gesù ci mostra un esempio da imitare nell’equilibrio e discernimento con cui va usata la parola e il silenzio.

La Parola di Dio

Nella Sacra Scrittura si trovano innumerevoli esempi che esprimono il valore della Parola di Dio e le caratteristiche della parola dell’uomo. I Libri sapienziali sono quelli che più ampiamente trattano questo tema. E’ qui, infatti, che troviamo l’invito ad ascoltare, accogliere, custodire, meditare, non dimenticare, non allontanarsi dalla Parola di Dio e chiaramente viene affermato che i vantaggi derivanti da questo atteggiamento di fede sono quelli di essere fin d’ora considerati beati, di vivere tranquilli e a lungo.

La parola dell’uomo

Attraverso le parole, l’uomo esprime se stesso, i suoi pensieri, i sentimenti, le sue opinioni. Nei Libri sapienziali viene descritto il parlare dell’uomo nei suoi aspetti positivi e negativi.
Come bisogna parlare? Con prudenza, sapienza, scienza, amabilità, calma, controllo di sé, saggezza, rettitudine, sincerità, lealtà, gentilezza, pesando le parole, frenando la bocca.
Come non si deve parlare? E’ consigliato non essere arroganti, non fabbricare menzogne e calunnie, non parlare troppo, non ingannare, non adulare, non usare parole dure e pungenti.

Similitudini

La parola dell’uomo è positivamente paragonata ad un albero di vita, ad un favo di miele; negativamente ad un pavimento su cui si scivola, ad un laccio, ad una spada, alla morte, a ghiotti bocconi, ad una ferita al cuore, ad acque profonde.
Pericoli e danni nel parlare
Parlare porta delle conseguenze che bisogna attentamente valutare, le parole possono aiutare gli altri, ma possono anche danneggiarli e lo stesso vale per se stessi. Con molta facilità si sbaglia quando si parla, per questo è necessario riflettere prima di parlare. Chi non usa rettamente delle sue parole va incontro alla rovina, danneggia se stesso, diventa vittima delle proprie labbra; si incorre nel pericolo di essere egoisti, gli altri possono ripetere quanto hanno udito da noi e c’è il rischio di rivelare segreti, di tradire, di perdere la fiducia. Facilmente cade in colpa chi parla.

domenica 21 marzo 2010


Gesù “professionista” del silenzio:

il vangelo dell’adultera.

Il brano del vangelo di questa V domenica di quaresima, è un testo molto particolare.

La sua collocazione nel vangelo di Giovanni è avvenuta dopo vari pellegrinaggi negli altri vangeli.

Solo recentemente il testo è stato inserito nei lezionari liturgici.

Forse la chiesa aveva paura di far vedere agli uomini l’infinita misericordia di Dio?

Forse la chiesa non sapeva come giustificare le proprie condanne di fronte ad un Gesù, che pur potendo condannare (essendo senza peccato) non condanna ma usa misericordia e da speranza?

Resta il fatto che l’odierno vangelo ci presenta un atteggiamento di Gesù molto interessante per noi artisti del Silenzio.

Gesù usa il silenzio di fronte agli scribi e i farisei che portando una donna trovata in flagrante adulterio, voglio porgli una trappola per poi accusarlo.

Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.
E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei».
E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.
Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.

Gesù con il silenzio e il misterioso gesto dello scrivere a terra, comunica con i suoi interlocutori.

In questo silenzio, gli accusatori si trasformano.

Nel silenzio Gesù fa passare gli accusatori da un piano esteriore, quello dell’osservanza della legge mosaica, ad un piano interiore, quello della coscienza.

Il “chi è senza peccato” diventa un monito a guardarsi dentro, a giudicare se stessi, fare il proprio esame di coscienza.

Come ha detto oggi nell’Angelus il Santo Padre, “bisogna condannare il peccato, sopratutto il proprio, ma essere indulgenti con il peccatore”.

Il chinarsi a terra di Gesù, è figura della Kenosi di Dio, del suo abbassarsi sull’uomo, sulle sue miserie.

Gesù nel silenzio scende allo stesso livello della peccatrice, quello stare a terra, quasi a volersi fare più facile bersaglio delle pietre che avevano già in mano coloro che avevano condannato l’adultera.

Il silenzio, il chinarsi a terra, lo scrivere sulla sabbia, il “chi è senza peccato scagli per primo la pietra”, disarmano quegli uomini, gela/blocca la loro arroganza (frutto del loro senso di colpa), che se ne vanno sconfitti.

Per l’adultera quel momento diventa la SUA ORA.

L’ora dell’incontro con l’AMORE SENZA CONFINI DI DIO.

Solo attraverso questo fare silenzio anche di fronte al nostro peccato, possiamo essere nella conversione.

Il silenzio diventa esame della nostra coscienza, vivere l’umiliazione (umiltà- humus/terra) della condizione di peccatore; ed è qui che, se veramente coscienti della nostra misera di peccato, bisognosi d’AMORE RICOSTRUTTIVO, possiamo alzare lo sguardo a Cristo e accogliere la sua MISERICORDIA.

Il silenzio è il luogo in cui Dio CAMBIA IL CUORE DELL’UOMO.

Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.
Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».
Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare più».

Gesù resta solo con l’adultera, la miseria e la misericordia s’incontrano, come commenta Sant’Agostino, qualcosa di nuovo germoglia: la vita nuova della Riconciliazione con Dio.

Questo è fare Pasqua.

don Mauro, monaco silente.

venerdì 19 marzo 2010

VANGELO V DOMENICA DI QUARESIMA C Gesù scrive a terra, in silenzio, senza dire nulla

Lettera di San Bruno a Raul le vert

Uno dei due testi sicuramente scritti da San Bruno.

La lettera a Rodolfo è in realtà la descrizione del carisma certosina come Bruno l'aveva concepito fin dal suo sorgere.

Un testo che parla poco del silenzio, ma che ne descrive i FRUTTI.


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A Rodolfo il Verde


1. Al venerabile signor Rodolfo, prevosto di Reims, degno di essere onorato con i più sinceri sentimenti di affetto, Bruno porge il suo saluto.

La fedeltà a una vecchia e provata amicizia che si vede in te è tanto più ammirevole e degna di elogio quanto più è raro incontrarla tra gli uomini. Sebbene, infatti, una grande distanza ed un ancor più lungo spazio di tempo abbiano tenuto separati, l'uno dall'altro, i nostri corpi, tuttavia i tuoi sentimenti di affetto non è stato possibile tenerli lontani dall'amico. Ciò risulta abbastanza evidente dalle tue dolcissime lettere, nelle quali mi hai espresso la tenerezza della tua amicizia, ed altresì dai benefici tanto generosamente prodigati, non solo a me, ma anche, per causa mia, al fratello Bernardo, e da molti altri segni ancora. Per questo porgo i miei ringraziamenti alla tua benignità; essi, certamente, risultano impari ai tuoi meriti, ma, d'altra parte, sgorgano dalla sorgente pura dell'amore.

2. Un viaggiatore, abbastanza fedele in altre missioni, già da lungo tempo è partito con una lettera diretta a te; ma, dato che fino ad ora non è ricomparso, ho giudicato opportuno inviarti uno dei nostri, perché esponga a viva voce più compiutamente tutto ciò che mi riguarda, poiché per iscritto riuscirei a farlo meno bene.

3. Ti faccio dunque sapere, mio degno amico, poiché ritengo che ciò non ti sarà sgradito, che quanto al corpo sto bene - oh se fosse così anche per l'anima! - e che, per quanto riguarda le cose esteriori, procede tutto bene, secondo i miei desideri. Ma, attendo, anche, supplicando, che la mano della divina misericordia guarisca tutte le mie malattie interiori e sazi dei suoi beni il mio desiderio.

4. In territorio di Calabria, con dei fratelli religiosi, alcuni dei quali molto colti, che, in una perseverante vigilanza divina attendono il ritorno del loro Signore per aprirgli subito appena bussa, io abito in un eremo abbastanza lontano, da tutti i lati, dalle abitazioni degli uomini. Della sua amenità, del suo clima mite e sano, della pianura vasta e piacevole che si estende per lungo tratto tra i monti, con le sue verdeggianti praterie e i suoi floridi pascoli, che cosa potrei dirti in maniera adeguata? Chi descriverà in modo consono l'aspetto delle colline che dolcemente si vanno innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? Né mancano orti irrigati, né alberi da frutto svariati e fertili.

5. Ma perché indugiare a lungo su tali cose? Altri, certamente, sono i piaceri dell'uomo saggio, di gran lunga più gradevoli e più utili, poiché divini. Ma tuttavia l'animo, troppo debole, affaticato da una disciplina troppo rigida e dalle applicazioni spirituali, molto spesso con queste cose si risolleva e respira. Se, infatti, l'arco è continuamente teso, si allenta e diviene meno atto al suo compito.

6. Quanta utilità e gioia divina rechino la solitudine e il silenzio dell'eremo a coloro che li amano, lo sanno solamente quelli che ne hanno fatto esperienza.

Qui, infatti, agli uomini forti è consentito raccogliersi quanto desiderano e restare con se stessi, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi, felicemente, dei frutti del paradiso. Qui si conquista quell'occhio il cui sereno sguardo ferisce d'amore lo Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e purezza si vede Dio. Qui si pratica un ozio laborioso e si riposa in un'azione quieta. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dona ai suoi atleti la ricompensa desiderata, cioè la pace che il mondo ignora, e la gioia nello Spirito Santo.

Questa è quella Rachele avvenente, di bell'aspetto, che Giacobbe, sebbene fosse meno fertile di figli, amò più di Lia, certo più feconda ma dagli occhi cisposi. Meno numerosi, infatti, sono i figli della contemplazione rispetto a quelli dell'azione; tuttavia Giuseppe e Beniamino più degli altri fratelli sono amati dal padre.

Questa è quella parte migliore che Maria ha scelto e che non le sarà tolta.

7. Questa è quella bellissima Sunamita, l'unica trovata in tutto il territorio d'Israele, che, giovane, potesse accarezzare e riscaldare l'anziano Davide. Magari, fratello mio carissimo, tu la amassi sopra ogni altra cosa, sicché, riscaldato dai suoi abbracci, tu potessi ardere di amore divino. Se anche una sola volta il suo amore si stabilisse nel tuo cuore, subito quella seducente e carezzevole ingannatrice che è la gloria del mondo sarebbe per te degna di disprezzo e le ricchezze che tanto inquietano e sono tanti pesanti per l'animo facilmente le respingeresti e, altresì, proveresti ripugnanza per i piaceri, nocivi sia al corpo che allo spirito.

8. La tua saggezza, infatti, conosce bene chi è colui che dice: Se uno ama il mondo e ciò che è nel mondo - ovvero il piacere della carne, la concupiscenza degli occhi e l'ambizione - l'amore del Padre non è in lui; ed inoltre: Chi vuol essere amico di questo mondo si fa nemico di Dio. Che cosa vi è, dunque, di tanto iniquo, che cosa di tanto insensato e di tanto dannoso e sventurato quanto il voler agire contro colui alla cui potenza non si può resistere, e alla cui giusta vendetta non si può sfuggire? Siamo, forse, noi più forti di lui? Forse che, solamente perché la pazienza della sua pietà ci spinge al pentimento, non punirà infine le offese di coloro che lo disprezzano? Che cosa infatti, vi è di più perverso, d'opposto alla ragione, alla giustizia e alla natura stessa, dell'amare più la creatura che il creatore, del ricercare più il perituro che l'eterno, più il terreno che il celeste?

9. Che cosa, dunque, pensi di fare, carissimo? Che cosa, se non credere ai consigli divini, credere alla verità che non può ingannare? Tutti, infatti, essa consiglia, quando dice: Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò. Non è una pessima ed inutile fatica l'essere tormentati dalla concupiscenza, l'essere incessantemente afflitti da preoccupazioni e ansietà, da timore e dolore per le cose desiderate? Quale peso è più grave di quello che abbassa la mente dalla sublime altezza della sua dignità nell'infimità, e ciò contro ogni giustizia? Fuggi dunque, o fratello mio, tutte queste inquietudini e miserie, e passa dalla tempesta di questo mondo al riparo sicuro e quieto del porto.

10. La tua saggezza conosce che cosa ci dice la Sapienza stessa: Chi non rinuncia a tutto ciò che possiede, non può essere mio discepolo. Quanto sia bello, quanto utile e quanto piacevole restare alla sua scuola sotto la guida dello Spirito Santo e apprendere la divina filosofia che sola dà la beatitudine vera, chi non lo vede?

11. Pertanto è necessario che la tua saggezza consideri con diligente esame che, se non ti invita l'amore di Dio, se non ti stimola l'utilità di tanto grandi premi, almeno debbono costringerti a ciò l'inevitabilità e il timore delle pene.

12. Sai, infatti, da quale promessa sei obbligato, e verso chi. Onnipotente e terribile è colui al quale tu hai consacrato te stesso quale offerta gradita e ben accetta; colui al quale non è né consentito né conveniente mentire, perché non sopporta di essere impunemente burlato.

13. Certamente, mio diletto amico, ricordi come un giorno trovandoci insieme io, tu e Fulcuio il Guercio, nel piccolo giardino adiacente alla casa di Adamo, dove allora ero ospitato, abbiamo parlato per qualche tempo, mi sembra, dei falsi piaceri e delle periture ricchezze di questo mondo ed anche delle gioie della gloria eterna. Allora, infiammati d'amore divino, promettemmo, facemmo voto e decidemmo di lasciare quanto prima le fugacità del secolo e captare ciò che è eterno, nonché di ricevere l'abito monastico. Questo proposito sarebbe stato attuato se Fulcuio, allora, non fosse partito per Roma; ne differimmo l'esecuzione al tempo del suo ritorno. Ma, poiché Fulcuio ritardava e intervennero altre cause, si raffreddò l'animo e il fervore svanì.

14. Che cosa, dunque, ti resta, o carissimo, se non scioglierti al più presto dai vincoli di un tale debito, per non incorrere, a causa di una così grave e così prolungata colpa di menzogna, nell'ira del Potentissimo, e, per questo, in immani tormenti? Chi dei potenti, infatti, si lascerebbe defraudare da qualche suo suddito di un dono promesso senza punirlo, specialmente se esso fosse per lui di grande stima e pregio? Pertanto, credi non a me, ma al profeta, anzi allo Spirito Santo che dice: Fate voti al Signore vostro Dio, ed adempiteli, voi tutti che, stando intorno a lui, gli portate doni: al terribile, a colui che toglie il respiro ai principi, al terribile verso i re della terra. Stai ascoltando il Signore, stai ascoltando il tuo Dio, stai ascoltando il terribile, colui che toglie il respiro ai principi, stai ascoltando colui che terribile è verso i re della terra. Perché inculca tutte queste cose lo Spirito di Dio, se non per spingere te, che ti sei obbligato con un voto, a mantenere le promesse? Perché hai difficoltà a mantenere ciò che non produce alcuna perdita o diminuzione dei tuoi beni, e che aumenta i tuoi guadagni più che quelli di colui al quale pagherai il tuo debito?

15. Non ti trattengano, perciò, le ricchezze fallaci, perché non riescono a eliminare la miseria, né la dignità di prevosto, che non può essere esercitata senza un grande pericolo per l'anima. Poiché convertire a proprio profitto i beni altrui, dei quali sei amministratore e non proprietario, è - consentimi di dirlo - un atto tanto odioso quanto iniquo. Che se sarai desideroso di successo e di gloria e se desidererai avere una numerosa servitù, non bastandoti ciò che legittimamente possiedi, non sarai forse costretto a sottrarre in qualche modo agli uni ciò che elargirai agli altri? Il che non significa essere benefico o liberale. Niente, infatti, è liberale se al tempo stesso non è giusto.

16. Ma anche, mio diletto amico, desidero persuaderti di una cosa, e cioè che per il servizio del signor arcivescovo, il quale confida e si appoggia molto sui tuoi consigli - e non è facile darne sempre giusti e utili - tu non ti lasci allontanare dalla divina carità, che tanto più è giusta quanto più è anche utile. E poi, che cosa è tanto giusto e tanto utile, e che cosa così insito e conveniente alla natura umana quanto l'amare il bene? E che cosa altro è tanto bene quanto Dio? Anzi, che cosa altro è bene se non solo Dio? Perciò l'anima santa, che, di questo bene, in parte percepisce l'incomparabile dignità, splendore e bellezza, accesa dalla fiamma d'amore dice: L'anima mia ha sete del Dio forte e vivo; quando verrò e mi presenterò davanti al volto di Dio?

17. Oh, potessi tu, fratello, non disprezzare le esortazioni di un amico! Oh, potessi tu ascoltare, non rendendo sorde le tue orecchie, le parole dello Spirito Santo! Oh se, dilettissimo amico, esaudissi il mio desiderio e la mia lunga attesa, affinché l'anima mia non sia afflitta più a lungo, per te, da preoccupazioni, inquietudini e timore! Poiché se ti accadrà -ma Dio non lo permetta - che tu muoia prima di aver assolto il debito del voto, lascerai me consumato in una continua tristezza senza neppure il conforto della speranza.

18. Pertanto, desidero fortemente supplicare ed ottenere da te che, almeno per devozione, ti degni di venire a San Nicola e, di lì, fino a me, perché tu possa vedere chi, in modo del tutto singolare, ti ama, e possiamo così insieme discutere a viva voce dello stato delle nostre cose e dell'osservanza religiosa ed, altresì, di quelle cose che riguardano la nostra comune utilità. E confido nel Signore che non ti pentirai di avere affrontato la fatica così gravosa di questo viaggio.

19. Ho superato il limite della brevità epistolare perché, mentre non posso averti presente fisicamente, almeno mi trattengo più a lungo con te mediante questa conversazione scritta.

Vivamente ti auguro, caro fratello, di godere a lungo di una buona salute, memore del mio consiglio. Ti prego di inviarmi la Vita di San Remigio, poiché dalle nostre parti non è possibile trovarla. Addio.

Mini bibliografia sul Silenzio

Ecco una piccola bibliografia per iniziare a leggere qualcosa sul silenzio.
Se hai qualche titolo da consigliarmi, basta postare un commento... Grazie


Ritrovarsi nel silenzio. Esperienze monastiche per la vita quotidiana
Grün Anselm, 2009, Queriniana

Il piccolo libro del silenzio
Grün Anselm, 2006, Gribaudi

Il silenzio interiore. Meditazioni da un monastero
Stutz Pierre, 2008, Gribaudi

Silenzio. Esperienza mistica della presenza di Dio
Canopi Anna M., 2008, EDB

Parole dal silenzio. La carità che brucia
Simpliciano della Natività, 2007, San Paolo Edizioni

Ho ascoltato il silenzio. Diario da un monastero trappista
Nouwen Henri J., 2005, Queriniana

Silenzio di Dio, silenzio dell'uomo
2005, Ancora

Amate il silenzio. Meditazioni
Spidlík Tomás, 2003, Gribaudi

Il silenzio, via verso la vita
Mancini Roberto, 2002, Qiqajon

Il silenzio. Pagine mistiche di santi e maestri spirituali
1998, Gribaudi

Dio nel Silenzio. Manuale A. Gentili Ancora 2009


San Benedetto e il Silenzio

IL DORMITORIO E IL SILENZIO NOTTURNO

APPUNTI SULLA

REGOLA DI S. BENEDETTO

di

D. Lorenzo Sena, OSB Silv.

Fabriano, Monastero S. Silvestro, Ottobre 1980


CAP. 22 - Come debbano dormire i monaci

CAP. 42 - Che dopo compieta nessuno parli


CAPITOLO 22

Come dormano i monaci

Quomodo dormiant monachi

Preliminari

Nella RM si parla del dormitorio nel capitolo sui decani nell'ambito della sorveglianza che essi dovevano esercitare (RM.11,109-120) e se ne parla anche nel c.29 a proposito dell'orario e del luogo per dormire. SB ne fa un capitolo a parte (RB.22) subito dopo quello sui decani (RB.21), come gia` aveva separato il consiglio dei fratelli dal capitolo sull'abate (RB.2-3) che in RM sono trattati insieme.

SB stabilisce tre cose: un letto per ogni monaco, rifare bene il letto alla levata, dormire vestiti e cinti e quest'ultima cosa per tre ragioni: essere pronti per l'Ufficio divino alla sveglia; evitare i pensieri impuri e la polluzione, non essere in ritardo all'Ufficio divino. SB conserva queste norme modificando qualcosa e abbreviando.

Evoluzione dalla cella al dormitorio, alla stanza singola

RM prescrive un dormitorio unico per tutti; RB una o piu` sale e inoltre luoghi separati per i novizi (RB.58), i malati (RB.36) e gli ospiti (RB.53). In tutte e due le Regole e` scomparso comunque l'uso delle celle separate, uso comune nel cenobitismo del secolo precedente (per il significato della cella, cf.Cassiano, Instit.10; Coll.24).

La sostituzione della cella a favore del dormitorio comune avviene alla fine del secolo V in Gallia (per evitare i vizi della proprieta` privata, della gola, dell'incontinenza), e la cosa si nota anche a Costantinopoli. I motivi iniziali dell'abbandono della cella sono il lavoro manuale e l'Ufficio divino in comune. In questo cambiamento dalla cella al dormitorio si deve vedere il fatto piu` importante della storia del monachesimo antico. La cella dava al monaco un carattere solitario e contemplativo; il suo abbandono significa che si lascia questo alto ideale per assicurare la pratica di certe virtu` elementari; salvare la poverta` e i buoni costumi sembra piu` urgente che l'orazione incessante.

La scelta per il dormitorio non e` un progresso, ma un palliativo; la vita comune non e` vista come un ideale superiore, ma come un rimedio richiesto dalla debolezza dei costumi. Del resto il sonno preso in comune non e` che un ulteriore atto di una evoluzione verso una piu` stretta vita comunitaria (si inizio` con la preghiera e il lavoro). "Tale cambiamento rispetto alla tradizione e` segno di vitalita` e di robustezza...; dobbiamo ammirare la liberta` che ci si prende di fronte alla materialita` della tradizione" (DeVogue).

Quando SB scriveva la Regola (secolo VI), il dormitorio comune era una cosa scontata. Con l'evoluzione poi nel corso dei secoli, specialmente per lo sviluppo preso dal lavoro intellettuale e per le mutate condizioni dei tempi, al dormitorio comune si vennero man mano sostituendo le stanze singole, dove ogni monaco non solo dorme, ma prega o lavora fuori dei tempi e dei luoghi stabiliti per gli atti comuni.

1-4: Letti e dormitorio

Non ci si meravigli del v.1: la disposizione che oggi sarebbe superflua, e` comune nelle regole antiche; la rozzezza e la semplicita` dei costumi esigeva l'esplicita proibizione che in un solo letto dormissero piu` persone. Qualche regola fissava anche la distanza tra un letto e l'altro. L'abate da` l'occorrente per il letto - un pagliericcio, una coperta leggera, una pesante e un cuscino; lo sappiamo da un altro passo della Regola (RB.55,15 - "pro modo conversationis", v.2).Che cosa significa precisamente? La traduzione piu` comune e`: "secondo il loro genere di vita, secondo le usanze monastiche", cioe` che l'arredamento del letto non disdica alla semplicita` e poverta` della professione monastica.

Pero`, considerando sopratutto un testo parallelo della "Vita Pachomii" 22 (in cui si nota la diversita` di condotta individuale in seno alla stessa comunita` monastica), si potrebbe anche intendere: "secondo il grado di fervore della vita monastica". La "conversatio" (il modo di condurre la vita monastica) puo` essere , secondo la Regola, "miserabile" (RB.1,21), puo` essere all'inizio o alla perfezione (RB.73,1-2), e` capace di un progresso (RB.Prol.49).A ciascuno di questi gradi corrisponde una maniera diversa di usare i beni materiali. Riguardo al letto, il tenore stabilito dalla Regola (RB.55,15) e` il massimo; ognuno puo` avere bisogno di meno, secondo il grado di ascesi raggiunto. "Questa diversita` di osservanza in seno alla comunita` puo` sembrare estrema al nostro gusto di uniformita`, ma non per questo e` in disaccordo con lo spirito del cenobitismo antico, dalle origini all'epoca stessa di SB" (DeVogue).

3-4: La lampada accesa di notte, in RM e RB

RM prevedeva che i letti fossero a cerchio intorno al letto dell'abate (RM.29,2-4) e che la lampada fosse spenta subito dopo che tutti si erano messi a letto (RM.29,6); per non sprecare olio, si dice!) e quindi se c'era bisogno di alzarsi di notte, si doveva parlare. RB divide la comunita` nel caso fosse troppo numerosa, in vari dormitori secondo le decanie e vuole che una lampada arda sempre nel dormitorio; e quindi che sia conservato il silenzio.

5-8: Modo di dormire e di levarsi

Gli antichi dormivano nudi; pero` i monaci devono dormire vestiti, Come risulta da RB.55,10 i monaci indossavano di notte una "tunica" corrispondente quasi alla nostra camicia e la "cuculla", che non aveva la forma attuale, ma somigliava piuttosto a un'ampia tonaca e arrivava al ginocchio o ai piedi. Di questi indumenti se ne prevedono due per "cambiarsi di notte e per lavarle" (RB.55,10).

Portavano poi ai fianchi una cintura o corda, richiamandosi anche di notte al precetto del Signore: "Siano cinti i vostri fianchi..." (Lc.12,35). Per capire tutto il; v.5, bisogna ricordare che di giorno i monaci portavano una cintura larga di cuoio, detta "bracile" (RB.55,19), a cui si appendevano utensili da lavoro. SB avverte che i fratelli devono, si`, essere cinti anche di notte, ma non di bracile, bensi` di cinture semplici, di cordicelle, per evitare il pericolo di portare a letto anche i coltelli e le roncole, che sono abitualmente appesi al bracile. Tale pericolo e` descritto nei particolari da RM.11,112.

(v.6). Stando a letto vestiti e cinti, i monaci erano gia` in ordine per poter accorrere all'Ufficio notturno. Un po` di pulizia e il necessario cambiamento degli indumenti per il giorno, si faceva dopo, forse prima di andare al lavoro. "Cosi` i monaci siano sempre pronti...": c'e` in questa frase tutta la spiritualita` della veglia e dell'attesa del Signore; il tema della vigilanza (Mt.24,42-51; 25,1-13; Mc.13,33-37; Lc.12,35-48) era cosi` caro al monachesimo antico; tutta la vita monastica deve essere una vigilia orante, una perenne attesa del Signore, che e` sempre vicino, ma che viene sempre, finche` tornera` definitivamente (cf. quanto detto sul senso della veglia in vista della preghiera, nell'Excursus sulla preghiera).

(v.7). I letti dei giovani sono alternati a quelli degli anziani (seniori = adulti, o piu` probabilmente i decani): RB non pensa tanto ai pericoli per la castita`, piuttosto alla dissipazione e alla pigrizia.

(v.8). Alla levata i monaci si esortino vicendevolmente. SB e` condotto da due principi: la carita` fraterna (relazioni orizzontali che mancano in RM) e il ritegno nel parlare. I monaci vengono consigliati non solo ad emularsi nell'accorrere all'Ufficio, sia pur sempre con gravita` (v.6), ma anche a dirsi parole di incoraggiamento sia pure con moderazione (v.8), per togliere ogni scusa ai sonnolenti.

Nonostante quindi la gravita` del silenzio notturno (cf.RB.42 trattato subito appresso), SB mette le relazioni fraterne al di sopra, mostrando fino a qual punto egli consideri vitale l'educazione reciproca, il rapporto dei fratelli, di cui trattera` esplicitamente negli ultimi capitoli della Regola.


CAPITOLO 42

Che dopo compieta nessuno parli

Ut post completorium nemo loquatur

Preliminari

RB.42 corrisponde a RM.30. Ambedue le Regole stabiliscono un legame tra i pasti e il silenzio notturno (in RB.41 si parla dell'orario dei pasti). Il titolo accenna solo al silenzio, ma il capitolo parla piu` a lungo della lettura che precede compieta.

1: Osservanza del silenzio

Il capitolo inizia con una massima generale cara a SB (come il c.19 e il c.49). La Regola ha gia` parlato dell'amore al silenzio (la "tacitirnitas") nel c.6; ora ribadisce il principio: il monaco deve aver cura del silenzio in tutti i tempi, ma una posizione di privilegio va riservata al tempo della notte. Si noti che qui c'e` la parola "silentium" (non "taciturnitas"), che ha un senso piu` energico e assoluto.

2-7: Lettura prima di compieta e riunione di tutta la comunita`

Dopo il v.1 viene lasciato il tema del silenzio per trattare di due cosa legate fra loro: la lettura prima di compieta e la riunione di tutta la comunita`. RM 30,1-11 prevede a questo punto la lavanda dei piedi e la comunicazio0ne tra i fratelli di cose necessarie, prima del silenzio rigoroso. RB insiste di piu` sulla riunione di tutta la comunita` che sul silenzio a cui prepara compieta. Questa insistenza sembra giustificata dal fatto che SB introduce l'uso della lettura prima di compieta, uso sconosciuto a RM.

A volte si e` interpretata la lettura in comune solo come un modo di approfittare del tempo mentre i fratelli erano occupati in qualche ufficio (cosi` anche il Lentini); ma non sembra troppo esatto vedere la cosa solo cosi`. SB da` un'importanza evidente a questa lettura vespertina fatta in comune. Indica alcune opere: le "Collazioni" di Cassiano e le "Vitae Patrum" (cf. introduzione generale), testi tipicamente monastici o "altre opere di edificazione" (v.3).Lettura pubblica ed edificazione di chi ascolta vanno sempre di pari passo nella Regola (RB.38,12; 47,3; 53,9), tanto che SB si preoccupa di non far leggere in quell'ora piu` propizia alla tentazione niente meno che alcuni libri della S.Scrittura: l'Eptateuco (i primi sette libri della Bibbia: Pentateuco + Giosue` + Giudici) e il libri dei Re (1-2 Samuele e 1-2 Re); non si considera dannosa la lettura dei libri sacri (difatti bisogna leggerli in altri momenti (v.4) perche` sono parola di Dio), ma si pensa che alcune storie scabrose li` riferite potevano suscitare a 1uell'ora immagini sconvenienti alla fantasia delle "menti deboli" (v.4).

SB pensa quindi alla parte spiritualmente debole della comunita`. Anche Cassiano notava che tali letture dell'AT non erano adatte agli "spiriti deboli e infermi" (Coll.19,16).

Significato della lettura

La lettura vespertina ha un valore proprio, di preparazione non tanto per compieta quanto per la notte. La notte da una parte e` segno del male, delle tenebre spirituali e piena di misteriosi pericoli per lo spirito; dall'altra parte e` propizia, come nessun altro tempo, alla riflessione e alla preghiera. SB dice di leggere "quattro o cinque fogli" (v.6) - era molto, sopratutto in quell'epoca - e nel frattempo devono arrivare tutti i fratelli.

Importanza della presenza di tutti i fratelli

Che tutti si ritrovino sembra molto importante per SB; tre volte in questo capitolo si trovano espressioni che richiamano questo fatto: "seggano tutti insieme" (v.3); "si radunino tutti" (v.7); "tutti insieme" (v.8). Perche` questo far arrivare tutti? per assicurare l'osservanza del silenzio notturno? perche` tutti ascoltino (almeno un po`) la lettura preparatoria per la notte? per concludere tutti insieme la giornata al canto di compieta? Impossibile determinarlo con certezza. Certo e` che SB vuole tutti insieme i membri del monastero nel momento conclusivo della giornata.

8: Compieta e silenzio notturno

Quando tutti i monaci sono presenti si dice compieta e poi "a nessuno sia permesso proferire parola" (v.8). La comunita` intera si immerge nel gran silenzio della notte. Disciplina cenobitica antichissima: risale a Pacomio ("Nessuno parli a un altro di notte", Reg.Pachomii 94) e da lui passa in tutte le altre Regole (Cassiano ha: "Nessuno dei monaci ardisca di attardarsi per un po` a scambiare parola con un altro", Inst.2,15); oltre alla salvaguardia del silenzio, si tende a premunire la castita` (si suppone la dormizione in celle separate). Comunque RM e RB sembrano indipendenti da Pacomio, almeno nella motivazione. RM porta una motivazione liturgica: difatti il silenzio rigoroso iniziava con il versetto: "Poni, Signore una custodia alla mia bocca..." (salmo 140,3) e terminava con il versetto: "Signore, apri le mie labbra..." (salmo 50,17) (RM.30,12-16).

RB (e anche RM) tende a favorire il riposo di tutti. E questo si spiega con il passaggio dalla cella al dormitorio comune (cf.pagine precedenti RB.22): stando insieme i monaci debbono stare attenti a non disturbarsi nel sonno (cf.RB.48,5) e nella preghiera (cf.RB.52,2-3), cose che prima i monaci compivano nella loro cella. Quindi il silenzio notturno ormai ha una caratteristica di sensibilita` fraterna piu` che di protezione contro i pericoli della castita`.

9-11: Penalita` ed eccezioni

Conclude il capitolo una prescrizione severa contro i trasgressori del silenzio notturno (v.9) e il caso di due eccezioni: l'arrivo di ospiti e un eventuale ordine dell'abate (v.10), per terminare con un'osservazione circa la gravita` e la delicatezza nell'uso della parola in tali occasioni eccezionali.

Nota per noi monaci di oggi

Forse noi, monaci di oggi, dobbiamo rieducarci a riscoprire il "grande silenzio" della notte. Certo, SB vede quanto sia necessario il silenzio notturno per salvaguardare il riposo di dieci o venti monaci che dormivano nello stesso luogo. Ma e` anche certo che pensa alla "spiritualita`" - per cosi` dire - della notte.

La notte e`, infatti il tempo delle grandi rivelazioni di Dio nell'antica e nella nuova alleanza: nel silenzio della notte il Verbo incarnato e` apparso per la prima volta tra noi (cf. la liturgia del Natale); nel silenzio della notte il nostro Redentore e` risorto dal sepolcro; nel silenzio della notte, Cristo si intratteneva a colloquio col Padre. Il monaco dovrebbe, in questo grande silenzio, prolungare la sua preghiera personale che nasce dalla liturgia e delle liturgia e` luce e alimento (cf. di nuovo quanto detto sulla notte e la veglia in vista della preghiera, nell'Excursus sulla preghiera).

Nei nostri monasteri, forse, dovremmo tornare a riflettere con maggiore scrupolosita` su questo capitolo e su questo aspetto della spiritualita` monastica. In tal senso, forse, va riconsiderato l'uso della televisione.