sabato 12 febbraio 2011

RELAZIONE: ascolto e silenzio

Un essere in relazione

L’uomo è creato per la relazione. Egli è un essere comunque in relazione: con se stesso, con la realtà che lo circonda, con gli altri, con l’Altro. Per essere felice, deve imparare a vivere in modo costruttivo e positivo questa sua insita e costitutiva relazionalità, dono del Creatore alla sua creatura "fatta a sua immagine e somiglianza".
Silenzio e parola sono strumenti / mezzi che, in ultima analisi, sono finalizzati a questo scopo, a quella che è la grande vocazione dell’uomo: il dono di sé. Silenzio e parola: due strumenti che vanno conosciuti e usati
Per poter essere usato adeguatamente, ogni strumento deve chiaramente essere scoperto, conosciuto in tutte le sue potenzialità; a ciascuno, poi, compete la responsabilità personale di decidere come usarne. Silenzio e parola sono potenti mezzi di comunicazione; la parola è per la relazione, ma anche il silenzio è a servizio della relazione. Essi devono interagire con saggezza ed equilibrio. La "medaglia" della relazione-dono di sé ha due "facce": il silenzio e la parola.

Il silenzio e la parola: due realtà contrapposte?

Questi due vocaboli e realtà dell’uomo possono sembrare antitetici e, in effetti, è apparentemente così, perché chi fa silenzio non parla e, chi parla, non tace. Fondamentalmente, però, sia il silenzio che la parola sottintendono una realtà più profonda e misteriosa – quella ontologica dell’uomo - né possono definirsi incompatibili, ma l’uno illumina e dà senso all’altra. Dal punto di vista di un atteggiamento interiore, profondo, essi sono - allora - complementari.

Silenzio e vita – parola e desiderio

Mentre è più facile pensare al concetto di parola e affiancarla, con naturalezza, all’idea di relazione, rimane più difficile concepire il silenzio come uno strumento che conduca o faciliti un rapporto interpersonale.
La domanda è: può il silenzio creare, stabilire, un rapporto, una relazione? Se, come molti sperimentano, talvolta anche una sola parola può addirittura mettere fine ad un rapporto d’amore, d’amicizia, familiare, ecc… dobbiamo pensare che anche il silenzio possa servire a creare e mantenere un vero rapporto interpersonale. D’altronde, come forse tutti ne abbiamo l’esperienza, davanti a grandi drammi o a sofferenze inspiegabili e atroci (come una malattia terminale o una morte improvvisa), si preferisce non parlare o parlare tacendo. Il silenzio, in questo caso, diviene presenza espressiva e affettuosa.
Esiste, dunque, un silenzio che chiameremo "loquace" e una parola "silente". Cioè un silenzio che parla, capace di dire qualcosa e una parola muta, che non dice nulla a chi ascolta. Un testo di psicologia afferma che "noi siamo quello che diciamo", ma parimenti siamo anche "quello che viviamo", che "facciamo", senza bisogno di tante parole.
Dire o fare? Si può dire e fare, ma si può anche fare senza dire nulla, è possibile "costruire" in silenzio e "demolire" parlando. E’ la nostra vita che deve parlare a noi stessi e agli altri. Talvolta il nostro silenzio si rivela costruttivo, fattivo e loquace più di mille parole.
A volte ci sono silenzi che sono parole e parole che sono silenzio. Capita, a volte, di dire tante parole, ma non ciò che dobbiamo dire e, quindi, si parla, ma è come se si tacesse. Ci sono, invece, silenzi carichi di parole.
Un silenzio può essere una risposta – naturalmente da interpretare – ma pur sempre espressione di qualcosa che si vuole dire, comunicare all’altro. Tacendo, a volte, si evita di dire ciò che è meglio omettere e quindi, in realtà, si comunica, seppur con una "assenza" di parole.

Cosa insegna a riguardo la psicologia

"Saper frenare la lingua" (Salmo 39, 2), "Porre una custodia alla proprio bocca" (Salmo 141, 3), preserva da tanta faciloneria, dalla superficialità, dall’avventatezza e dall’imprudenza. Dovremmo educarci a frapporre – come anche la psicologia insegna – un "intervallo" tra stimolo e risposta, tra azione e reazione, affinché la nostra parola – sia verbale che interiore – non scaturisca da impulsività o automatismi dell’inconscio, ma sia frutto di una scelta libera e consapevole. Per parlare con libertà e coscienza, bisogna sapersi educare al silenzio, inteso come una predisposizione all’ascolto profondo di se stessi e dell’altro.

Il silenzio

Il silenzio può dunque essere lo spazio che prepara la parola. Interpretato come fine a se stesso, non avrebbe senso; o, meglio, agirebbe nella nostra vita con una valenza negativa di chiusura, fuga, ripiegamento su se stessi, visto che abbiamo affermato che l’uomo è un essere in relazione e la parola è un mezzo di relazione.
Il silenzio, ancor prima di essere possibilità di riflessione (quindi vi è un silenzio prima e un silenzio dopo la parola), deve essere spazio per l’ascolto, capacità di accoglienza, recettività senza pregiudizi, disponibilità libera dalla presunzione di sé. Il silenzio, così inteso, può paragonarsi a quel terreno buono di cui leggiamo nel Vangelo (Luca 8, 8) capace di ricevere il seme della parola: della Parola di Dio e della parola (a volte un po’ inquinata) dei propri simili.
Il silenzio, ancora, educa e rafforza nella vigilanza, che è attenzione al vissuto fin nei dettagli, capaci di rivelare - ad uno sguardo penetrante - la novità che si nasconde persino nella monotonia, nel quotidiano banalizzato ma mai banale e che sfugge ai più. Per il cristiano questo atteggiamento ha un nome: è l’atteggiamento contemplativo. L’uomo è reso capace di vedere l’invisibile (Ebrei 11, 27).
In una bellissima preghiera, Etty Hillesum scrive: "Tutto avviene secondo un ritmo più profondo … che si dovrebbe insegnare ad ascoltare: è la cosa più importante che si può imparare in questa vita. Il silenzio può così essere strada che conduce alla profondità. Ecco perché le grandi donne e i grandi uomini dello spirito hanno amato e vissuto il silenzio" (Diario di Etty Hillesum, Adepti Edizioni, Milano 1985).

Vari tipi di silenzio (positivo e negativo)

Abbiamo visto come l’atteggiamento di silenzio sia capace di costruire una relazione; anzi, ne ponga decisamente le fondamenta, tanto quanto la parola espressa, intesa come manifestazione esterna di se stessi all’altro. Si vengono così a delineare vari tipi di silenzio, che possono avere una valenza più o meno negativa, tanti quanti sono i modi personali di interpretazione a cui va soggetto il termine medesimo.
- Il silenzio di ascolto è quello che ci permette di ascoltare l’altro fino in fondo, per capire cosa vuole dire e accogliere il messaggio che ci sta trasmettendo. Permette all’altro di esprimere completamente se stesso e il suo pensiero, quando non viene interrotto nel suo parlare.
- Il silenzio reciproco è quello di chi si comprende senza bisogno di troppe parole e avviene quando c’è una conoscenza e comunione profonda fra le due persone che comunicano.
- Il silenzio di carità è quello che volutamente tace tutto ciò che può nuocere all’altra persona, che non mette in evidenza il male, non mormora.
- Il silenzio di indifferenza è quello in cui non si vuole comunicare all’altro, non interessa ciò che l’altro ci dice.
- C’è un silenzio offeso e risentito, proprio di chi non è in pace con se stesso e con gli altri e si isola.
- C’è un tipo di silenzio che è peccato, perché si omette ciò che si dovrebbe dire, oppure che può esprimere indifferenza e lontananza da Dio: il silenzio di chi non prega e non comunica con il Creatore.
- C’è il silenzio del perdono, che si instaura quando si evita di sottolineare, rinfacciare, ripetere continuamente gli sbagli e i difetti altrui.

Il silenzio: dono o penitenza?

Il silenzio può essere un dono o una sorta di penitenza, concepito quasi come un’ammenda o come una limitazione, dipende da come lo si concepisce, lo si vive, dal contesto in cui si è chiamati a incarnarlo.
E’ un dono quando diventa lo spazio per incontrare Dio, per comunicare con Lui e, in Lui, con gli altri. E’ più facile "incontrare" il Signore in questo contesto silente che in mezzo a tanti rumori. Dio ci parla attraverso il suo silenzio. La contemplazione è l’incontro di due silenzi: quello di Dio e quello dell’uomo. Chi impara a pregare veramente, impara ad ascoltare il Verbo silenzioso e incontra il Silenzio che interpella, impara ad ascoltare e sa veramente relazionarsi anche con gli altri uomini.
A volte, però, il silenzio può essere una penitenza. Ci sono momenti in cui è difficile non parlare, perché ciò diventa un bisogno. E’ difficile tacere quando non si è compresi, quando si è stati offesi, quando l’altro vuole avere sempre ragione e vuole sempre l’ultima parola sulle decisioni, quando vediamo comportamenti sbagliati negli altri, quando abbiamo una sofferenza, quando capiamo che l’altro ci giudica male.
Quando si riesce a vincere il bisogno di parlare e si sa tacere, il silenzio diventa "penitenza" che ci insegna a dominare le nostre passioni e che, anche con dolore, ci apre la via ad una forma di ascesi che conduce ad una vera maturità umana e cristiana. Si sperimenta, allora, una grande pace e si riesce a dominare anche i propri pensieri rettificandoli e trasformandoli in positivi, ritrovando l’equilibrio interiore.

Importanza e rischi del silenzio

Il silenzio, allora, diventa predisposizione all’ascolto, all’accoglienza e alla comunicazione con gli altri e con l’Altro. Ci aiuta ad evitare il male che facilmente si potrebbe commettere parlando; ma nasconde anche dei rischi. Un silenzio può essere una contro-testimonianza. Infatti, ci sono cose che vanno dette al momento opportuno e anche non opportuno.
Altro pericolo è quello dell’isolamento. Chi tace, non si confronta con gli altri, rimane con le proprie idee e con il proprio modo di essere, non si apre all’alterità. Chi tace, non dona se stesso e, quindi, si impoverisce.

Il silenzio del Signore

Innumerevoli sono gli esempi del silenzio nella Persona di Gesù e del suo riferimento al silenzio. Gesù ha fatto silenzio pur parlando e ha parlato pur facendo silenzio. Gesù "tace" quando manifesta al Padre il suo perdono per gli uomini. Negli anni della sua formazione umana e spirituale a Nazareth non predicava ancora come fece in seguito, ma anche dopo il suo annuncio pubblico fu con il silenzio della sua stessa vita (Luca 2, 51) che si fece conoscere.
Gesù sceglie spesso luoghi solitari in cui andare a pregare (Luca 5, 16). Gesù insegna a far tacere i sentimenti negativi amando i propri nemici (Luca 6, 27). Ascoltando Gesù che parla, folle intere tacciono, non parlano, ma ascoltano (Luca 10, 39). Alla domanda che gli porrà Pilato, Gesù non risponderà nulla (Luca 23, 9) o, in altri frangenti, risponde senza dire ciò che gli altri avrebbero voluto sapere e sentire dire da Lui. Gesù tace con la sua morte (Luca 23, 46) per tornare a parlare dopo la Resurrezione. Gesù ci mostra un esempio da imitare nell’equilibrio e discernimento con cui va usata la parola e il silenzio.

La Parola di Dio

Nella Sacra Scrittura si trovano innumerevoli esempi che esprimono il valore della Parola di Dio e le caratteristiche della parola dell’uomo. I Libri sapienziali sono quelli che più ampiamente trattano questo tema. E’ qui, infatti, che troviamo l’invito ad ascoltare, accogliere, custodire, meditare, non dimenticare, non allontanarsi dalla Parola di Dio e chiaramente viene affermato che i vantaggi derivanti da questo atteggiamento di fede sono quelli di essere fin d’ora considerati beati, di vivere tranquilli e a lungo.

La parola dell’uomo

Attraverso le parole, l’uomo esprime se stesso, i suoi pensieri, i sentimenti, le sue opinioni. Nei Libri sapienziali viene descritto il parlare dell’uomo nei suoi aspetti positivi e negativi.
Come bisogna parlare? Con prudenza, sapienza, scienza, amabilità, calma, controllo di sé, saggezza, rettitudine, sincerità, lealtà, gentilezza, pesando le parole, frenando la bocca.
Come non si deve parlare? E’ consigliato non essere arroganti, non fabbricare menzogne e calunnie, non parlare troppo, non ingannare, non adulare, non usare parole dure e pungenti.

Similitudini

La parola dell’uomo è positivamente paragonata ad un albero di vita, ad un favo di miele; negativamente ad un pavimento su cui si scivola, ad un laccio, ad una spada, alla morte, a ghiotti bocconi, ad una ferita al cuore, ad acque profonde.
Pericoli e danni nel parlare
Parlare porta delle conseguenze che bisogna attentamente valutare, le parole possono aiutare gli altri, ma possono anche danneggiarli e lo stesso vale per se stessi. Con molta facilità si sbaglia quando si parla, per questo è necessario riflettere prima di parlare. Chi non usa rettamente delle sue parole va incontro alla rovina, danneggia se stesso, diventa vittima delle proprie labbra; si incorre nel pericolo di essere egoisti, gli altri possono ripetere quanto hanno udito da noi e c’è il rischio di rivelare segreti, di tradire, di perdere la fiducia. Facilmente cade in colpa chi parla.